Le Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin City
Storie Vere Storie Vere

376 pagine - € 16,02
Acquista il Libro

E-Book RBC Home
Nigeriane Minorenni

Fayola

Il racconto di Fayola

Fayola rimane incinta già a 14 anni, nel 2005. Quello stesso anno inizia il suo "viaggio", un viaggio breve. Fino in Benin (Cotonou) in macchina, in aereo fino a Parigi e poi in treno l'arrivo a Venezia-Mestre nell'agosto 2005. La casa della mamam è a Conegliano Veneto. Seguono tre anni di soprusi e violenze, la strada e le botte, minacce alla famiglia in Nigeria. Nell'agosto 2008 decide di fuggire assieme al suo fidanzato e arriva a Napoli dove trova accoglienza e aiuto

Il racconto di Fayola

Mi chiamo Fayola e sono nata alla fine del 1991, adesso (ottobre 2008) ho 17 anni. Sono nata a Benin City nella zona universitaria, dove ho sempre vissuto. Mio padre si chiama Nelson e attualmente ha 72 anni e mia madre si chiama Rowina ed ha 55 anni. Mia madre è la terza moglie di Nelson I miei genitori, attualmente in pensione, sono stati entrambi impiegati delle Poste, ciò nonostante avevano problemi economici. Quando avevo 12 anni si sono lasciati e io ho vissuto con mia madre e i miei fratelli. Eravamo piuttosto poveri. A complicare le cose è arrivata la mia gravidanza. Infatti Steve, il mio compagno, era povero quanto me.

Una conoscente di nome Elinor mi prospettò l’idea di emigrare, naturalmente all’insaputa di mia madre perché sapevo che sarebbe stata contraria. Elinor mi raccontò che aveva una sorella in Italia che aveva bisogno di una baby-sitter. Ai soldi ci avrebbe pensato lei, dandomi un prestito. Assolto il debito sarei stata libera di gestire la mia permanenza in Italia. Accettai la proposta, dicendo a mia madre che andavo a Lagos dai miei fratelli, così con Elinor ci recammo da un “pastore” che ci portò in riva ad un fiume. Qui iniziò una cerimonia: il pastore mi fece inginocchiare, accese delle candele ed enunciando preghiere al loa dell’acqua (chiamatomami-water)" versò sulla mia testa dell’acqua raccolta con un vaso dal fiume; giurai così davanti ai loa di obbedire a quanto la mamam, che era presente allacerimonia, mi consigliava di fare e di non disubbidirle mai.

In quell’occasione lasciai alla donna e al “pastore” delle mie fotografie, una maglia che portavo con me e un sacchettino piccolo fatto con un pezzo di stoffa del mio vestito dove mi avevano detto di conservare una ciocca di capelli. Era l’estate del 2005. Il giorno dopo con una macchina, guidata da Michael, insieme ad un’altra ragazza, raggiungemmo la città di Cotonou, in Benin, e andammo da una signora che si faceva chiamare “mami”. Con lei, due settimane dopo, facendoci passare per due delle sue figlie, ci trasferimmo a Parigi e da qui in treno a Venezia-Mestre.

Era il 26 agosto (del 2005). Alla stazione di Venezia incontrammo John (un ragazzo nigeriano) e in taxi raggiungemmo la città di Conegliano e arrivammo da Allison (la sorella di Elinor). Allison senza mezze parole disse che il lavoro che avrei dovuto fare non era quello di baby-sitter ma di prostituita in strada. Avrei restituito il debito e avrei guadagnato qualcosa anche per me e la mia famiglia. Non ero sola, quindi non dovevo aver paura, ma c’erano altre ragazze della mia età a farmi compagnia.

Mi disse che ogni dieci giorni avrei dovevo darle 1.000 euro e quindi in tre anni avrei saldato il debito. Era il 15 settembre 2005 quando ho cominciato a lavorare in strada. La ragazza che viveva con me si chiamava Hanna e mi portava con sé a lavorare. Mi ha insegnato a vestirmi e a trattare con i clienti. Allison iniziò ad arrabbiarsi con me perché diceva che lavoravo poco. Tiravo su circa 700-800 euro alla settimana. Dopo un violento litigio mi disse che il debito era salito a 80.000 euro. Avevo iniziato a rifiutare dentro di me questa situazione e Allison l’aveva capito.

Ma era una persona violenta e mi picchiava spesso. Una volta sono andata all’ospedale per le percosse ricevute. Era l’autunno del 2007. Sono rimasta in ospedale qualche giorno e non ho raccontato a nessuno la verità. Allison telefonava a sua sorella Elinor a Benin City per minacciare mia madre e mia sorella per costringermi a fare quello che voleva lei. Ma alle minacce non seguiva mai nulla. Ho capito dopo un po’ che erano solo minacce per continuare a sfruttarmi, mi minacciava per tenermi ancora con lei e quindi solo per farmi paura. Questo ha contribuito a farmi maturare ancor più il distacco da lei, così iniziai a non andare più in strada. Lei mi minacciava e in me cresceva l’odio, poi telefonava a mia madre per farmi tornare sulla strada. Io resistevo e non ero più disposta a lasciarmi intimidire. Tutto stava diventando insopportabile, volevo finirla con questa storia brutale.

Era l’agosto del 2008 quando ho conosciuto una vicina di casa nigeriana. Presa confidenza con lei gli raccontai della mia esperienza e lei mi disse che era accaduto anche ad una sua cugina. Questa si era rivolta ad una comunità di accoglienza che l’aveva aiutata. Così ho contattato la stessa comunità e subito dopo sono stata ricevuta da una suora a cui ho spiegato il mio problema.

Con il mio fidanzato sono andata alla stazione e sono partita per Napoli, dove c’era ad attendermi una operatrice. I miei familiari non hanno più paura e io sono più serena. Ai conoscenti in Nigeria dico che sono in Canada. L’esperienza sulla strada è durata circa tre anni.

Strategie messe in campo da una mamam verso la madre di una sua vittima minorenne. Si tratta di un lunga lettera incisa su una cassetta registrata che la mamam fa arrivare a Benin City con un corriere. Si evincono, dal documento, le diverse strategie attivate. Queste appaiono prima gentili e quasi timidamente lamentose poiché la vittima non va più in strada per lei, poi si fanno più invasive e ricattatorie per passare, se non raggiunge il suo obiettivo di riportare la vittima sulla strada con l’aiuto appunto della madre, alle minacce e alle possibili visite punitive da parte di suoi parenti maschi. La minorenne, infatti, si rifiuta di prostituirsi e la madre reagisce positivamente alle minacce della mamam.

Maris Davis, 25 marzo 2012