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376 pagine - € 16,02
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Sarah Olayinka Fayola Mudiwa
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Nigeriane minorenni

Nigeriane minorenni vittime di schiavitù sessuale. I loro racconti

Decine e decine di interviste a minorenni nigeriane ospiti di centri di accoglienza residenziale in Italia eseguite da personale specializzato. Le storie sono diverse, ma lo svolgimento e la trama sono quasi sempre simili, il reclutamento a Benin City, il woodoo, il viaggio, la Libia, il debito da pagare, l'arrivo in Italia e lo sfruttamento. I vari "personaggi" della "mafia nigeriana". Ne pubblichiamo quattro significative

Premessa

Nigeriane minorenni vittime di schiavitù sessuale. I loro racconti

Di seguito sono riportati quattro casi riguardanti vittime minorenni ospiti nei servizi di accoglienza residenziale. Le informazioni sono state raccolte in parte dagli operatori e in parte da membri di un gruppo di ricerca. Di ciascun caso biografico si riportano notizie relative alla provenienza geografica, agli aspetti anagrafici, alle modalità di reclutamento e del successivo giuramento rituale, al viaggio, alle rotte perseguite e all’attraversamento della frontiera; nonché dettagli sullo sfruttamento subìto e sul processo di sganciamento attivato direttamente o con l’aiuto di agenti di Polizia, conoscenti o degli operatori sociali. Questi aspetti approfondiscono quanto già descritto nei nostri precedenti articoli, aggiungendo tasselli conoscitivi sulle dinamiche relazionali che intercorrono tra la mamam e i suoi diversi collaboratori e tra questi e la vittima (con alcuni familiari di sfondo).

Nei (brevi) racconti si rileva, nonostante la minore età, una solidità esistenziale considerevole, anche in rapporto alla particolare e soverchiante esperienza vissuta, e al contempo, una sostanziale fragilità; condizione che tuttavia non affievolisce la forte dignità personale delle stesse vittime e la loro continua e ostinata ricerca per individuare i tempi e i modi per sganciarsi dall’assoggettamento schiavistico. Si rileva, inoltre, una dedizione alla famiglia talmente forte che pur di non contrariarla, o limitarne il suo sviluppo economico, si accetta qualsiasi cosa, anche assoggettarsi alla mamam e alle sue pratiche predatorie. Ciò che accomuna l’insieme dei racconti biografici è il desiderio di espatriare, migliorare la propria esistenza e quella della propria famiglia, e dunque l’indebitamento della stessa famiglia (il cui peso principale graverà comunque sulla vittima) per sostenere le spese del viaggio.

Questo diventa il vero punto di forza delle mamam e delle loro organizzazioni criminali: prestare denaro, far giurare solennemente alla futura vittima la sua restituzione, far espatriare la stessa e poi costringerla con la violenza a vendere il proprio corpo per soddisfare il contratto di restituzione, raggirarla e truffarla con il sostegno solenne di figure religiose tradizionali corrotte. La rottura di questa relazione avviene o per l’esaurirsi del prestito, cioè quando la minore restituisce tutti i soldi alla mamam, oppure come emerge dai racconti, per un processo di maturazione della vittima che porta inevitabilmente alla rottura della relazione asimmetrica. L’aggancio con i servizi, l’eventuale denuncia degli sfruttatori e l’ingresso in servizi di accoglienza residenziale per recuperare l’autonomia perduta rappresentano le fasi di fuoruscita dallo sfruttamento.

L’approccio biografico, ad approfondimento dei dati e dell’intervista qualitativa a testimoni chiave, è stato scelto poiché l’apertura dello specifico strumento di intervista, consente di dare spazio al racconto e lasciare una certa spontaneità all’interlocutore sulle tematiche da esplicitare. Spontaneità che comunque, nei nostri casi, si è concentrata su quegli aspetti più traumatici delle esperienze vissute e queste, proprio perché comuni a tutti i casi raccolti, rappresentano una particolare esperienza sociale configurando una relazione complessa che investe e coinvolge nella stessa maniera altre persone. La scelta di tale approccio si spiega, con la capacità dei racconti di segmenti di vita di indagare in profondità gli aspetti più complessi e intrinseci del fenomeno migratorio e, all’interno di questi, delle forme di grave sfruttamento sessuale, come emergono con forza dai casi presentati.

(I nomi pubblicati sono nomi di fantasia)

Con le recenti disposizioni normative, il c.d. “pacchetto sicurezza”, che prevedono, tra l’altro una sanzione amministrativa di tipo economico si assisterà ad una ulteriore stretta nella concessione dei permessi di soggiorno per motivi sociali, ossia senza fare una denuncia verso gli sfruttatori, per le vittime di tratta, come prevede l’art. 18 del T.U. sull’immigrazione del 1998. Sarà difficile distinguere le minorenni trafficate e sfruttate dalle semplici migranti senza documenti, se non si costruiranno dei servizi di ascolto nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Per le minorenni nigeriane (ma anche per le adulte) che arrivano via mare, non essere riconosciute come vittime della tratta, appena sbarcate, e dunque protette in quanto tali, significherà subire una ulteriore umiliazione e dunque violenza. L’Associazione Be Free di Roma, che gestisce uno sportello di assistenza psico-sociale e legale nel CIE di Ponte Galeria, ha rilevato che su 111 donne nigeriane presenti nel Centro, almeno il 25% di esse (dalle 25 alle 28 unità) sono minorenni, e quasi tutte hanno subito violenza sessuale e forme diverse di grave sfruttamento già in Libia in attesa di un imbarco per Lampedusa. Anche tra le adulte nigeriane l’Associazione ha riscontrato molti casi di violenza sull’esperienza di sostegno a donne nigeriane trattenute presso il CIE di Ponte Galeria e trafficate attraverso la Libia.

Sarah

Olayinka

Fayola

Mudiwa

Breve commento

I casi di minorenni reclutate e destinate alla prostituzione coatta presentati permettono di ricostruire uno scenario caratterizzato da raggiri, mistificazioni e bugie, da truffe monetarie e da violenze perpetrate allo scopo di svilire qualsiasi resistenza alle pratiche di sfruttamento. Il reclutamento apparentemente è casuale: una signora distinta, ben vestita e carismatica avvista una minorenne e comincia a studiarne i comportamenti. Le si avvicina, parla dell’emigrazione e del successo potenziale che potrebbe apportare. Parla dell’Italia e di conoscenti che sono passati da condizioni precarie e frustranti a condizioni agiate e soddisfacenti.

Oppure amici e conoscenti che ascoltano i desideri di giovani donne in difficoltà economiche, con genitori anziani da curare o figli piccoli da allevare; oppure di giovani donne sole e senza protezione che vengono invitate a parlare con la signora elegante e riverita per la sua benevolenza che può cambiare la vita delle persone.

La signora è al centro del reclutamento, la mamam, nomignolo familiare (come “mami”) è l’asse di riferimento per qualsiasi donna intenda espatriare a prescindere dall’età. Con le minorenni sembra tutto più facile, sono più circuibili e più fiduciose che tutto andrà per il meglio. I soldi per organizzare il viaggio non sono un problema. La mamam li trova facilmente (appare e si presenta, di fatto, come una emigrante di successo) e con i soldi arrivano anche i documenti. Con i documenti e del denaro a disposizione l’organizzazione del viaggio è un problema secondario. Le minorenni partono. Il viaggio come si evince dai racconti assume rotte e tratte direzionali diverse, a seconda se si punta vero il Marocco, verso l’Algeria o verso la Libia. La ragnatela che si descrive seguendo le città e cittadine menzionate trova una convergenza comune nello stato del Niger. È qui che poi si ramificano le rotte.

L’accompagnatore è in genere un nigeriano, un brother, un fratello di cui fidarsi che ha l’incarico di portare la minorenne ignara verso la frontiera prescelta. Gli itinerari comunque sono sperimentati e sicuri. I rapporti tra gli snodi della rete criminale sono monetizzati e strumentali, di scambio economico per servizi reciprocamente erogati. Nessuno chiede i motivi e le finalità di questa mobilità interstatale di persone, di minorenni.

Le transazioni economiche che si realizzano sono multiple e pluridimensionali. Tutte vengono assommate alla vittima, al conto che prima o poi scoprirà di avere in aggiunta al debito in parte conosciuto poiché pattuito al momento della decisione di partire. L’attraversamento delle frontiere europee (nella fattispecie spagnole, francesi e italiane) appare realizzabile senza nessuna difficoltà, se non quando si attraversa il mare per approdare a Lampedusa, arrivando dalla Libia. La distribuzione delle minorenni sul territorio italiano, sia se entrano dalla frontiera terrestre che da quella marittima, appare altrettanto semplice. Semplice appare anche il modo con cui le mamam avvisano le minorenni di quello che dovranno fare per pagare il debito, e la trasformazione della somma che le vittime devono rimborsare in euro per essere arrivate a destinazione.

Altrettanto disinvolta è la violenza che viene esercitata dalle mamam per costringere le vittime a soggiacere alla loro volontà criminale. La mamam è una imprenditrice che tratta merce umana con la stessa dedizione con cui tratterebbe qualsiasi altra mercanzia. La sua avidità, nonostante la violenza che pone nel far rispettare le regole criminali, diventa il motivo di frattura con le vittime soggiogate. Alcune minorenni rompono con maggior facilità di altre, altre ancora si “sdoppiano” e maturano la rottura con la mamam in due fasi: una interna, cioè vissuta nell’intimo, snaturando progressivamente il potere autoritario della stessa mamam pur accettando, al contempo, ancora violenze e sopraffazioni; l’altra esterna, quando la misura è colma e dunque matura la rottura definitiva cercando attivamente chi può sostenerle in questa scelta o predisponendosi psicologicamente a farsi aiutare dai servizi sociali, dalla polizia o da singole persone per cui nutrono fiducia (sia connazionali che italiani).

Ciò che appare significativo, almeno dai casi descritti (considerando, certo, il fatto che sono casi di successo), è che la rete dei servizi appare ampia, come la rete di persone sensibili in grado di riconoscere queste forme di schiavitù e quindi adoperarsi per intervenire attivamente.

Il rapporto con i servizi a volte è lineare, a volte problematico ma comunque appare del tutto necessario e strutturalmente importante perseguire il programma personalizzato.

"Nessuna esperienza umana è troppa bassa da poter essere assunta a rituale e ricevere così un significato sublime"

Maris Davis, 25 marzo 2012