Le Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin City
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Sandra

La storia di Sandra, e altre storie terribili

Sandra, 27 anni,, arrivò in Italia nei primi anni duemila. La mafia nigeriana tentò di ucciderla, si salvò per miracolo grazie all'intervento di un'amica. Non voleva rassegnarsi alla strada e tentò di scappare. Oggi aiuta le sue connazionali.

Judith, 14 anni appena compiuti. Al suo primo "cliente" fu violentata e stuprata sulla Salaria.

Joy, rimasta incinta di un cliente, e poi ha perso il bambino.

Gladys, un cliente le ha distrutto l'ano violentandola tre o quattro volte con un bastone. Forse guarirà con il tempo, ma per ora non riesce più a camminare.

Rose, stuprata da chissà quanti uomini in una sola volta. Le hanno perforato l'utero con un oggetto appuntito.

Osas, Torino, arrivata in Italia dopo un viaggio di due anni. Gettata giù da una macchina in corsa dopo essere stata stuprata e rapinata.

Prudence, Verona, arrivata dalla Nigeria da una sola settimana, poi sparisce per giorni. Ritrovata sanguinante e sfigurata di botte. Le hanno bucato l'utero con un oggetto appuntito. Nonostante tutto questo la polizia la rimanda in Nigeria. Di Prudence non ci sono più notizie.

Non lontano da Verona una ragazza che non voleva più saperne del marciapiede, Tessie, è stata costretta dai suoi magnaccia a bere acido muriatico. È finita al pronto soccorso. L'hanno salvata per un pelo. E adesso si ritrova sfigurata e handicappata e quasi muta. Una ragazza africana di villaggio, semplice semplice. Analfabeta. Che diavolo di futuro può trovare in Italia. Ditemelo voi.

Eki. Mi hanno stuprata e picchiata, e torturata con le sigarette accese.

La storia di Sandra, e altre storie terribili

Sandra ci accompagna lungo i vari gironi del suo quotidiano inferno, però in questa storia, di divino non c'è nulla, di certo non c'è alcun paradiso. Non c'è nessuna candida Beatrice che se ne va a spasso fra le nuvole.

Questa storia ha per protagonista una vittima che dà voce ad altre vittime, e dei carnefici, che Dante chiamerebbe volentieri diavoli. La società invece li chiama persone per bene, perché è gente insospettabile. Quasi sempre si tratta di uomini posati, chi l'avrebbe mai detto? Scherzo. Quasi tutti sono fruitori accaniti di film porno, perché stando a quel che si legge, la cosa che vogliono di più dalle ragazze, è quello che in quei film è la regola, il tutto per soli 20 euro.

Clienti bastardi

In un paese in cui "l'ingiustizia è uguale per tutti, soprattutto per gli extracomunitari", le vittime vengono abbandonate dalle istituzioni, e dalla mancata umanità della società che tende a vedere nello straniero la macchia sul suo candore, sbagliando, molto spesso.

Mi è partita nella testa la frase di una canzone di Renato Zero, "dimmi chi dorme accanto a me?". Penso a quelle mogli disgraziate e mi sento fortunata. Quanto a te, essere deviato, mi chiedo, come fai a non vergognarti di esistere? Come fai a guardare tua moglie, tua figlia, e a non sentirti un verme? Come posso accettare io che anche tu ti chiami uomo come gli altri? Ti auguro il peggio che ti possa capitare, cioè che un mattino, svegliandoti, si svegli anche la tua coscienza, perché a quel punto saresti tormentato a vita.

So bene che è utopia. Rimarrai il porco che sei, e non ti succederà mai nulla, perché i prepotenti comandano il mondo e gli ultimi, quali che siano i vaneggiamenti della chiesa, restano ultimi, che è comunque meglio che esserti simile.

Da dove incominciare a raccontare

Sandra ha 27 anni, è alta, mora, bella. Nigeriana. Di Benin City. È da Benin che provengono, a migliaia, le ragazze buttate dal racket sui marciapiedi italiani, 10-12 ore al giorno di macchine e di clienti, esposte in mutande e tacchi a spillo a ogni genere di violenze e di aggressioni. Lei, trafficata come le altre, è riuscita a uscirne e a salvarsi. Quando iniziò a "lavorare" hanno cercato perfino di ucciderla perché non voleva scendere in strada

Sandra adesso aiuta le sue connazionali a liberarsi dalla schiavitù

Uno, «dare voce a chi non ce l'ha», ossia alle ragazze che ogni sera scendono in strada senza sapere se mai ritorneranno, perché sono «almeno duecento, stando alle cronache dei giornali, quelle che negli ultimi anni sono state accoltellate, strangolate, uccise a furia di botte o di iniezioni di veleno agricolo», senza contare quelle torturate e stuprate e massacrate, ma che in qualche modo sono tornate a casa vive, e dunque non fanno assolutamente notizia.

Due, «cercare di creare una rete, di trovare insieme un percorso d'uscita, un'alternativa alla strada».

Tre, «mettere in piedi una casa-alloggio per le ragazze che non ne possono più».

Storie terribili

Iniziamo da Judith, 14 anni appena, che alla sua prima sera di lavoro sui marciapiedi romani della Salaria è stata stuprata e picchiata dal primo cliente, e poi lasciata sull'asfalto più morta che viva? O da Joy, che era incinta, e che ha perso il bambino che aspettava? Da Gladys, a cui un cliente ha distrutto l'ano violentandola tre-quattro volte di fila? O da Rose, stuprata da chissà quanti e in chissà che modo, fino ad avere l'utero perforato; e che, pure, non osava nemmeno mettere piede in un ospedale per curarsi?

Non sono le storie che mancano. Anzi, sono perfino troppe, quaggiù, sugli affollati marciapiedi d'Italia. Gli stupri qui sono roba quotidiana; violenti, se non addirittura atroci; eppure assolutamente invisibili, e dunque assolutamente impuniti: «Perché le ragazze non denunciano mai. E nemmeno vanno al pronto soccorso, a meno di non essere moribonde». E la voce mi trema. Mi viene da piangere.

Questa storia degli stupri etnici

La ferita

Le ragazze la vivono tutti i giorni, ogni volta che vanno al lavoro. Ogni sera escono di casa con due pensieri in testa: forse questa è la sera che incontro il cliente che mi aiuta, che magari mi risolve un po' il problema del debito. Trenta, cinquanta, sessantamila euro. Il costo che le ragazze pagano per arrivare in Italia, con la promessa di un lavoro che le salverà dalla miseria di Benin City. Arrivano qui e scoprono che il lavoro è poi sempre uno e uno soltanto, il marciapiede. E sul marciapiede succede di tutto; ma voi non lo sapete.

E dunque il secondo pensiero che le ragazze, ogni sera, hanno in testa è questo: speriamo che non mi succeda niente. Ma a una o all'altra qualcosa succede. Sempre. Gli stupri sono la regola. Tutti i giorni. Tutti i giorni gliene segnalano almeno uno.

Osas

La storia di Osas, arrivata a Torino dopo due anni (due anni? «Sì, due anni interi») di viaggio attraverso l'Africa, su su dalla Nigeria fino al deserto del Sahara. In 60 stipati su un camion, senz'acqua né cibo, e quelli che erano di troppo venivano lasciati giù. Così. A morire. Mentre il camion proseguiva verso il nord del Marocco su una pista punteggiata di ossa e di cadaveri freschi.

Arrivata a Torino, Osas è stata buttata sulla strada. Caricata da un cliente. Dove andiamo? ha chiesto lui. «Posto tranquillo» ha detto lei; era una delle poche frasi che le avevano insegnato le compagne di lavoro. Solo che il posto tranquillo di lui era una cascina semi diroccata nell'hinterland torinese, spersa nella nebbia e nel freddo. E arrivati lì lui le ha puntato un coltello alla gola. L'ha violentata, picchiata, rapinata. Lei ha urlato e urlato. Da un'abitazione vicina una voce ha gridato: «Ma basta, ma finitela. State zitti». E solo dopo che l'uomo se n'è andato qualcuno ha osato mettere il naso fuori. Un ragazzo con un cane. Che vuoi, ha chiesto mentre il cane le ringhiava contro; che cosa è successo. Poi l'ha caricata in macchina e l'ha riportata a Torino. «È stato uno degli uomini più gentili che ho incontrato in Italia» dice Osas adesso.

È sparita Prudence

Arrivata da una sola settimana, dalla Nigeria. Vent'anni. Analfabeta. Non una parola che sia una di italiano. Prudence non tornava a casa da due giorni. A casa aveva lasciato i suoi vestiti e le sue poche cose. Le compagne di strada la stavano cercando dappertutto. Ospedali, questure. Niente. Fino a che è ricomparsa. Irriconoscibile. Sfigurata dalle botte. Quasi non riusciva a camminare.

Che cosa è successo, le ha chiesto Sandra in dialetto ebo. «Mi hanno bucato l'utero, mi hanno bucato l'utero». Prudence riusciva a dire solo questo, ossessivamente. A fatica abbiamo saputo che un cliente l'aveva caricata al suo joint, che è lo spicchio di marciapiede che ogni ragazza ha in dotazione e per cui paga a chi di dovere un affitto mensile che va dai 150 ai 250-300 euro. L'aveva caricata e portata chissà dove. E violentata. E riviolentata. E picchiata. Massacrata. Derubata. Scaricata in un bosco, a chilometri dalla stanzetta che Prudence considerava casa sua.

Prudence è rimasta in quel bosco tutta la notte, tutto il giorno dopo. Senza mangiare né bere. Sconciata. Sanguinante. A fatica s'è poi trascinata fino a un campeggio, c'era gente che faceva vacanza, che l'ha riportata a Verona. Lì è finalmente riuscita a orientarsi. È tornata a casa. «Mi hanno bucato l'utero, mi hanno bucato l'utero». In ospedale non ci è voluta andare, per paura che la polizia la rimandasse a casa.

Rimpatrio forzato

Rimpatriata così com'era, in mutande. A marcire in una prigione di Benin City dove le altre detenute ti violentano con una bottiglia, ridendo e dicendo: cosa è meglio, dicci, questa bottiglia o quello che sei andata a goderti in Italia. Di Prudence non abbiamo saputo più niente. È difficile per una donna italiana ascoltare storie del genere.

"Ogni africana stuprata è un'italiana salvata"

Italiani. Stupratori a pagamento

È difficile. È orribile. Ma vero. Gli italiani, stupratori a pagamento, li chiamano le ragazze sulla strada. Quelli che, perché pagano i 20 euro della tariffa standard si sentono in diritto di esigere qualunque cosa. Cazzo ti lamenti, bastarda. I soldi li hai avuti.

Succhia. Girati. Apri il culo. E giù botte. Hanno l'ossessione del culo, gli italiani che vanno a puttane. «Dicono: voglio fare quello che con mia moglie non faccio mai. Scene da film porno. Tutto quello che hanno visto nei film porno e con la moglie non hanno il coraggio o il permesso di fare». Ho pagato, è la frase chiave dello stupratore da 20 euro. E giù botte, se solo dici di no.

Gladys non riesce quasi a camminare

Un cliente le ha sfondato l'ano. «Era come una bestia» dice, l'ha costretta a subire una, due, tre, quattro violenze, a un certo punto Gladys ha sentito «come un distacco, nel profondo». Da quella lacerazione non è più guarita.

Ospedale? Cure? Denunce? Ha una paura terribile, Gladys. Non ne vuole sapere. Si trascina sul marciapiede a fatica, ogni sera. Ormai zoppica. E non c'è verso di convincerla ad andare da un medico. Dice: «Se la polizia lo viene a sapere mi rimanda a casa». È la regola.

«A volte le ragazze ridotte molto male finiscono al pronto soccorso. Ma devono veramente essere ridotte molto, ma molto male. Incoscienti. In coma». Al pronto soccorso non è che le trattino coi guanti. Dovrebbe essere rispettata la privacy, certo. Ma chi mai dice che la legge valga anche per le puttane negre clandestine? A volte infermieri e medici sono cattivi, a volte addirittura strafottenti.

Chiamano la polizia. La polizia prende svogliatamente la denuncia; poi ti dà il foglio di via. Sei la vittima di uno stupro. Ma sei anche quella che ne paga le conseguenze. Così le ragazze, appena possono, girano alla larga dalla polizia e dagli ospedali. Tornano a casa più morte che vive. Traumatizzate. Distrutte. La maman dice: ma di cosa ti lamenti, a me è successo tante volte.

E il giorno dopo le rimanda sulla strada, coi lividi e i tagli e i segni dei morsi e delle cinghiate e delle bruciature di sigaretta in bella vista. I clienti a volte si impietosiscono. Ti danno i soldi, dicono: vai a casa e curati. Allora la maman dice: vedi, anche ridotta così sei in grado di guadagnare. Di cosa mai ti lamenti. Sei scema.

Gli stupri di gruppo

Capitano spesso. Tre-quattro per volta, arrivano, ti caricano a forza. Sei fortunata a uscirne viva. A volte gli uomini dicono delle cose mentre ti stuprano. Cose come: brutta negra. Cazzo vieni a fare qui. Così impari. Startene in mutande a casa tua. Ti faccio vedere io. Schifosa puttana. Chi ti ha mai detto divenire qui. Tornatene nella foresta, insieme alle scimmie.

Ce l'hanno con te perché sei donna. E nera. E puttana. E debole. Non so perché ma i più violenti, quelli più grandi e grossi, si scelgono sempre le ragazze più leggere e più fragili. Quelle così magre e sottili che sembrano una foglia di mais.

Se ci provano i ragazzini, 16 anni, 18, bé, gli molli un pugno da tramortirli e scappi via. I più pericolosi sono quelli dai 25 anni in su. Ottanta-novanta chili. Trent'anni. Quaranta. Quelli che a prima vista non diresti mai che sono stupratori. Che non hanno niente nel vestire che ti allarmi, nulla nell'approccio che ti metta in guardia. Sono quelli che poi dicono: ho pagato. Che magari hanno l'Aids ma non vogliono usare il preservativo, per sfregio, e poi ti mettono incinta. Che dicono negra di merda, adesso ti sistemo io. Che tirano fuori il coltello o la pistola. Che ti bruciano con le sigarette, ti riempiono di pugni, ti portano via la borsetta, i soldi, il cellulare. Che ti lasciano a decine di chilometri da casa tua, nel buio o nella neve. E queste sono soltanto alcune delle cose che ti posso raccontare.

Solo ascoltare è mostruoso. E ascoltare non finisce mai. Ci sono le mille altre storie della strada, le mille vicine di marciapiede delle ragazze di Benin City: le trans sudamericane, vittima preferita dei nordafricani. Stupro omosessuale, lo definiamo noi. C'è la bambina brasiliana di dieci anni. Ci sono le albanesi violentate coi bastoni e con le bottiglie dai loro magnaccia, per convincerle ad andare sulla strada. C'è un campionario osceno di bestialità maschile, senza filtri e ma e se. E, soprattutto, c'è la paura delle ragazze. Perenne.

Il primo stupro è difficile da superare. Sei distrutta. Qualcosa in te si è rotto per sempre. Però ti consoli dicendoti: mi sono vista morta, eppure sono viva. Al secondo dici: capita. Al terzo dici: è normale. Dal quarto in poi non li conti più. È un rischio del mestiere. Di Prudence, dicevo, non abbiamo saputo più niente. Non è ancora andata in ospedale. Se l'infezione non si aggrava non ci andrà probabilmente mai. La curano le sue compagne di strada e di casa. Una di queste è Eki, che ha avuto finalmente il coraggio di raccontare: è successo anche a me.

Torturate con sigarette accese e acido muriatico

Mi hanno stuprata e picchiata e torturata con le sigarette accese. Allora le sue compagne hanno detto: anch'io. Stanno mettendo in comune la paura, lassù a Verona. Stanno cominciando a pensare che forse bisogna trovare il coraggio di sfidare il racket e decidere di smettere. Non che sia facile. Non lontano da Verona una ragazza che non voleva più saperne del marciapiede, Tessie, è stata costretta dai suoi magnaccia a bere acido muriatico. È finita al pronto soccorso.

L'hanno salvata per un pelo. E adesso si ritrova sfigurata e handicappata e quasi muta. Una ragazza africana di villaggio, semplice semplice. Ignorante. Analfabeta. Che diavolo di futuro può trovare in Italia. Ditemelo voi.

Ragazzine vendute dai loro stessi genitori

Poi ci sono le ragazzine. Tredici anni, quattordici. Vergini. Vendute agli "italos" (i reclutatori al soldo della mafia nigeriana) dalle famiglie che vedono i vicini che fanno una bella vita grazie alle figlie che lavorano in Italia. Che si comprano il motorino. Il Mercedes coi sedili leopardati che quando passa nei villaggi solleva una gran polvere e tutti i ragazzini gli corrono dietro rapiti. Quando 'ste ragazzine arrivano in Italia le maman si mettono le mani nei capelli. Che cosa devo fare con te, che non sai niente. Allora pagano tre-quattro ragazzoni africani, grandi bastardi, che le violentano in tutti i modi finché non hanno capito e imparato quel che si deve fare sulla strada.

Schiavi

Ora. Vorrei potermi risparmiare almeno questa parte della storia, ma non si può. Gli extracomunitari che raccolgono i pomodori, l'uva, le mele. Dodici, quindici ore di lavoro per sette, dieci, dodici euro. Frustrazione e rabbia pura. Vi siete mai chiesti come la sfogano? Sulla Domiziana, dalle parti di Castelvolturno, terra senza dio né legge in provincia di Caserta, le ragazze vivono in catapecchie senz'acqua né luce. Guadagnano 5 o 10 euro a botta.

Sono la vittima perfetta dei loro stessi compaesani. Che le schifano, «perché si vendono ai bianchi». E non hanno soldi e non le pagano e le rapinano nella certezza della totale impunità. Si vendicano della vita di merda che fanno. Con loro, le ragazze di Benin City.

Però questo io non lo posso dire. Allora lo dico io. In certe zone la polizia chiude non un occhio ma due, e forse anche tre, avendoli, e pure anche quattro. Va bene che ci siano le ragazze di Benin City: sono uno sfogatoio perfetto, un matematico calmieratore di tensioni sociali ed etniche.

Sono la vittima designata, l'agnello sacrificale. Perché ogni africana stuprata è un'italiana salvata. E l'africana stuprata tace. Ha troppa paura per parlare. È perfettamente invisibile e dunque non fa notizia né statistica.

Nemmeno di questi tempi, ragazze mie. Pensatele ogni volta che uscite di casa a notte fonda, e soprattutto ogni volta che rientrate. Voi, bianche. Voi, sane e salve.

Maris Davis, luglio 2021