Le Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin CityLe Ragazze di Benin City
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Joy

Joy e la sua storia

Quando inizia il suo "viaggio", nel 2000, Joy è poco più di una ragazzina adolescente. Sbarca a Tenerife dopo 10 mesi allucinanti. La portano in Italia, quattro anni anni di sfruttamento tra Padova, Verona e la Riviera Romagnola. La fanno tornare in Spagna, a Madrid, dove nel 2005 incontra Maris Davis che le offre protezione e una casa sicura. Non ha mai voluto denunciare i suoi sfruttatori e per questo, alla fine del 2006, le autorità spagnole la riportano in Nigeria dove attraversa un periodo difficile, pensa perfino al suicidio. Oggi Joy è una donna serena, è ritornata a Benin City

Joy è partita dalla Nigeria che era ancora minorenne.

Joy e la sua Storia

Joy e la sua storia

Una parente si presentò alla famiglia offrendo una "possibilità" di far lavorare la ragazza in Italia, dove diceva avrebbe potuto guadagnare bene lavorando presso una famiglia italiana come domestica.

Trattativa

La donna offrì del denaro alla mamma della ragazza e l'intera famiglia, incoraggiata, la convinse a partire.

Ma l'offerta non era gratuita. "Ci sono molte spese da affrontare per il viaggio, per i documenti, per la prima sistemazione. I soldi li anticipo, ma la ragazza deve restituirli".

Il debito

La trattativa si chiuse sulla somma di 60 mila, 60 mila naira, i soldi nigeriani, come dire circa 3 mila euro. Ma 60 mila euro sono un'altra cosa! E in Italia Joy avrebbe poi scoperto che il suo debito era invece di 60 mila euro.

Woodoo

Joy andò insieme alla ragazza a firmare una carta davanti ad un avvocato o presunto tale. Poi tutti andarono dal santone del villaggio che fece una specie di rito woodoo, teso a frantumare le resistenze psicologiche della ragazza a fronte di qualsiasi difficoltà avesse trovato: davanti alla famiglia e agli antenati lei prometteva solennemente, giurava, di restituire quei soldi. Un impegno d'onore.

Se lo avesse violato, le persone che si erano adoperate per farla arrivare in Europa, avrebbero chiesto il pagamento alla famiglia e poi, il woodoo avrebbe punito ogni violazione del patto.

La famiglia di Joy è poverissima, ma quel debito parve una scelta obbligata per poter cambiare la vita di tutti i suoi componenti: il fratello più piccolo sarebbe potuto andare a scuola, papà avrebbe potuto curarsi, ecc..

Il viaggio

Non appena Joy varcò la soglia di casa cominciarono i guai: il viaggio fu terrificante. In parte a piedi, in parte su vecchi camion sgangherati, un gruppo di ragazze e di ragazzi nigeriani raggiunse il Marocco, dopo giorni di viaggio accecante e bruciante, attraversando il deserto e lasciando per strada chi si sentiva male o chi non aveva neppure gli spiccioli per poter rabbonire i militari dei tanti posti di blocco che incontrarono.

La fine di quelle persone era segnata: la sabbia del deserto è il cimitero di centinaia di migranti.

Giunti in Marocco dovettero restare nascosti a lungo; qualcosa nella organizzazione del viaggio non funzionò; il numero dei clandestini superò le 50 unità, uomini e donne restarono nascosti in un casolare per oltre un anno.

Dormivano quasi uno addosso all'altro, uscivano a gruppi di due al giorno, non di più per non dar nell'occhio ai poliziotti del paese più vicino.

Le ragazze impararono ben presto a fingere di essere incinte per poter raggiungere il centro del villaggio e mendicare: nessuno si preoccupava di trovar loro da mangiare.

Alcune ragazze ed un ragazzo morirono in quel periodo. Pidocchi grossi come scarafaggi li aggredirono e forse non erano neppure pidocchi: succhiavano il sangue di quei giovani e non bastava per liberarsene, neppure il taglio dei capelli. Venne l'ordine di partire.

Quei ragazzi non avevano più nessun entusiasmo, pensavano solo a sopravvivere.

Il responsabile del trasferimento, tuttavia, sparì con tutti i soldi dei ragazzi e delle ragazze e così un gruppo di una ventina di giovani donne e uomini restò abbandonato a se stesso, in mezzo alla boscaglia, dove attese per dieci mesi, dieci mesi, di poter partire.

Dieci mesi all'adiaccio

Aggrediti dalle zanzare, in preda a terribili crisi di malaria: due ragazze si ammalarono e le loro crisi furono così violente da stroncare le loro vite in quattro e quattr'otto. Erano ancora vive quando i loro corpi cominciarono ad annerirsi, e la morte le colse quando già sembravano mummie di persone rapite alla vita da una morte avvenuta secoli fa.

Contro la pioggia e il sole solo foglie e arbusti

I maschi erano pochi, troppo pochi per poter difendere le ragazze dalle aggressioni di contadini del posto. Violenze spaventose si scatenarono tra quei disperati e quegli altri poveracci; le ragazze furono violentate più volte.

E la promiscuità non esaltò, comunque, le migliori qualità umane anche nei rapporti tra maschi e femmine del gruppo.

L'attraversata

Finalmente la partenza. Joy salì sulla carretta navale aiutando una giovane coppia che aveva due gemelli, partoriti in quell'infermo. La donna era febbricitante e si reggeva a stento, sostenuta dagli incoraggiamenti del marito che le indicava la meta ormai vicina.

Anche il mare fu ostile, terribilmente ostile e dopo un giorno di viaggio, il battello invertì la rotta perché non era possibile andare oltre.

Non c'era modo di parlare in mezzo a quella bufera.

L'uomo teneva uno dei due gemelli, la donna l'altro e Joy si dava da fare per aiutare in qualche modo la donna; si ritrovò gli occhi supplichevoli di lei che la guardavano fissa.

Joy pensò che la donna stesse un po' meglio, perché aveva smesso di tremare e, intanto copriva con uno straccio il bimbo, affinché si bagnasse il meno possibile.

Quando riapprodarono, l'uomo scosse la donna per farla scendere, ma lei non rispose: era morta così, con un bimbo in grembo; lo reggeva così saldamente che non fu facile sciogliere quell'abbraccio protettivo.

Nessuno piangeva, nessuno aveva più lacrime

Tenerife

Pochi giorni dopo il gruppo riprese il viaggio e giunse, infine, in Spagna nell'isola di Tenerife.

Joy fu portata in una casa dove c'erano altre ragazze di "Benin City", come lei, ed una di queste le spiegò tutto.

Joy disse che lei non era disposta a prostituirsi.

Maris

Quando ho visto Joy per la prima volta io ero proprio a Tenerife, era il 2001 all'inizio dell'estate. Ma ero anch'io ancora schiava e non ho potuto fare nulla per lei, per me era solo una ragazza nigeriana come tante, e io avevo già i miei problemi. È stato comunque un incontro fortuito, durato pochissimo, non la conoscevo, mi colpì il suo viso da bambina.

La confessione a Madrid

Il destino ci ha fatto incontrare di nuovo 4 anni dopo a Madrid, quando la mia schiavitù era già finita, ma la sua ancora no.

Mi raccontò che aveva trascorso tre anni in Italia (tra Verona, Padova e la riviera romagnola). La portarono in Italia, dove la sua ribellione fu subito punita. Dapprima le botte. Poi subì più volte violenza sessuale, "così la smetti di fare la difficile".

In tutto quel periodo non aveva avuto nessun modo di comunicare con la famiglia che, nel frattempo, era alla disperazione. Per questo, appena le fu possibile e le fu concesso stabilire un contatto, si limitò a raccontare solo un parte della verità a sua mamma, ritenendo che non avrebbe superato lo choc.

Pensò, inoltre, che se la sua famiglia avesse saputo tutta la verità sarebbe successo qualcosa di molto grave: i fratelli, in particolare, non avrebbero esitato ad andare a chieder conto di tutto alla donna che aveva offerto l'opportunità di portare Joy in Italia; ma i fratelli erano ragazzi comuni, gli altri erano delinquenti senza cuore.

La prima volta

Finì coll'accettare il suo destino e scese in strada per la prima volta. Con tutto quello che aveva passato, quella era sicuramente la cosa meno brutta e meno pericolosa che aveva affrontato.

Imparò, in pochi giorni, ad aver paura dei Poliziotti, perché le amiche le raccontarono che avrebbe potuto esser fermata, portata in prigione e rispedita a casa.

Terrore, ritornare a casa a quel modo. Ed infatti una sera a Padova, durante una retata fu presa e identificata, rilasciata il giorno dopo ma con un foglio di via.

A Madrid

La sua mamam allora le "cedette" ad un altro gruppo che la portò a Madrid, finché un giorno incontrò un cliente che aveva voglia di chiacchierare e che le faceva un sacco di domande; lui le lasciò dei soldi, anche se non avevano fatto sesso e quando lui tornò anche la sera dopo e quella dopo ancora, lei fu felice, come può essere felice una persona in quelle condizioni.

Lui le propose di accompagnarla in un centro dove avrebbe potuto essere aiutata.

Le chiese di incontrare l'operatore di una associazione con il quale avrebbe potuto capire che per lei c'era una via di uscita, ma le vie di uscita semplici non esistono.

L'associazione la prese con se, e le diede un lavoro. Lei, assieme ad un altra ventina di ragazze doveva fare le pulizie durante le ore notturno nelle carrozze della metropolitana di Madrid presso la stazione di "Nuevos Ministerios". L'unico vincolo era quello di farsi vedere presso l'associazione il giorno dopo.

Piccolo problema, Joy non si sentiva protetta dall'associazione perché i suoi aguzzini e la sua mamam la stavano cercando, e qualsiasi "amica" avrebbe potuto fare la spia.

L'aiuto di Maris

Era febbraio del 2005, quando una sera molto fredda, mi ero appena recata all'ambasciata italiana di Madrid (per via dei mie documenti) e che si trova proprio a pochi passi dalla stazione "Nuevos Ministerios". Rividi Joy, lei mi riconobbe, ci abbracciammo.

Venne a casa mia (quella che avevo affittato grazie a mio marito), e ci restò fino alla fine dell'anno successivo. Andava sempre a lavorare con l'associazione anche se non era un lavoro continuo, e si presentava con regolarità presso l'associazione. Ma la sua casa "sicura" adesso era la mia casa.

Natale 2005

Quel Natale, colui che poi divenne mio marito, arrivò a Madrid con altri due amici italiani ospiti per il fine anno nella nostra casa, quella stessa casa dove c'era anche Joy. In quei giorni Joy si innamorò perdutamente, peraltro ricambiata, di Manuel, l'amico italiano più giovane. Un amore durato il tempo di una vacanza di fine anno. Quei due, tra tristezze e qualche lacrima, non hanno mai più potuto rivedersi.

Per me Joy era come un sorellina minore

Con il senno di poi il mio grande errore è stato quello di non essere mai stata in quella "benedetta" associazione a parlare di lei con gli operatori. Joy mi diceva che era tutto a posto.

Infatti, quando mi sposai (a Madrid nel 2006) lei mi fece da testimone e poi insieme abbiamo fatto i documenti per venire in Italia. Lei si mise a piangere quando sul suo passaporto nigeriano fu apposto il visto temporaneo per l'Italia.

Troppo giovane Joy per capire il mondo, troppo ingenua io che le ho creduto, non so quali controlli furono fatti nell'ambasciata italiana per il visto di pochi giorni prima.

Rimpatrio forzato

Dicembre 2006. All'aeroporto di Madrid Barajas al controllo dei biglietti fu fermata perché risultava "evasa" da questo famoso centro. Quel giorno persi l'aereo anch'io e rimasi con lei altri due giorni.

A nulla valsero le mie suppliche, a nulla valse il visto per l'Italia, a nulla valse l'intervento di un funzionario del consolato italiano di Madrid. La Guardia Civil fu irremovibile, e pensare che bastava che chiudessero un occhio.

Joy, tra le lacrime, dovette salire su un aereo per Lagos (Nigeria). Laggiù fu accolta dai miei (mia mamma e mia sorella). La sua mamma non ha voluto accoglierla subito. Più volte Joy ha tentato il suicidio nel primo anno.

Poi si è rassegnata, anche perché ha fatto pace con sua mamma, e perché, nonostante alcuni problemi, sono riuscita a pagarle gli studi che aveva interrotto anni prima per fare quel "dannato viaggio".

Con Joy mi sento spesso, adesso è una donna di 29 anni, ma ancora zitella, e anche questo è un problema a Benin City per una donna di una certa età non ancora sposata. E lo dico ai maschietti, è bellissima.

Oggi (anno 2015)

In questi anni abbiamo più volte tentato riportare “regolarmenteJoy in Italia, ma purtroppo non è stato possibile. Le è stato negato anche il semplice visto turistico per ben due volte.

Purtroppo la restrittiva legge italiana ha messo la Nigeria nella “black list” e così il consolato italiano nega sistematicamente qualsiasi visto di ingresso in Italia a cittadini nigeriani.

Se penso che Joy, sua mamma, e la mia famiglia sono ancora costretti a vivere dei pochi spiccioli che riesco a spedire giù ogni tanto.

Conclusione

La vera Joy nel 2005

Quella di Joy è una storia molto simile a quella di tantissime altre ragazze nigeriane che ormai fin dai primi anni '90 partono dalla Nigeria per arrivare in Europa.

Anche in questa “storia” c'è la famiglia in Nigeria che tratta con i trafficanti, c'è il woodoo ovvero la stipula del contratto con la famiglia, c'è il viaggio (quello di Joy particolarmente difficile e lungo), c'è la paura per se e per i propri cari rimasti in Nigeria, c'è l'inganno, ovvero la scoperta di un lavoro che doveva essere onesto e normale ed invece sei costretta a fare la prostituta, c'è la prima volta con un “cliente” e poi c'è la strada, vendere il proprio corpo.

In realtà Joy non è stata molto in strada, poco più di un anno. Joy è stata una di quelle ragazze che si ribellava, era determinata a non fare la prostituta, e questo suo atteggiamento ha fatto si che la sua mamam “italiana” la rimandasse in Spagna.

E a Madrid ha trovato subito aiuto. Prima in una comunità e poi ha incontrato Maris che, accogliendola in casa sua, l'ha letteralmente nascosta alla mamam “spagnola” per quasi un anno e mezzo.

Maris era appena uscita da una storia simile a quella di Joy, e quindi conosceva l'importanza di avere un aiuto, l'importanza di qualcuno che ti potesse far uscire dal controllo assillante della mafia nigeriana e della “mamam”.

Joy avrebbe voluto restare in Europa, in Italia, il destino la riportata in Nigeria. Le è andata anche bene, molte sono infatti le ragazze che spariscono nel nulla, che anche quando la storia sembra finita ti fanno tornare in strada, o a lavorare in discoteche o altri locali notturni, altre ancora vengono uccise dai loro protettori, moltissime vengono uccise anche da clienti violenti.

Joy oggi è una ragazza che vive e che riesce ancora a sorridere, e questo è quello che conta per davvero

Joy e la sua Storia. Il Libro

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