Quella zona grigia della mafia nigeriana di cui nessuno parla

Non è sempre tutto bianco o nero, non ci sono solo i buoni o i cattivi, tra le comunità di nigeriani c’è anche il “silenzio omertoso”, il si sa ma non si dice, una cultura che tende a farsi gli affari propri, spesso un basso livello di istruzione.

E poi c’è l’indotto economico indiretto, basti pensare agli African Shop, agli Hairdresser (parrucchiere per capelli africani), ai negozi di vestiti africani, ai Money Transfer, alle centinaia di micro chiese pentecostali, ai locali privati frequentati da nigeriani, e poi ci sono gli affitti di appartamenti e case dove alloggiano le ragazze (e questo coinvolge per lo più italiani), ecc..

In una città media come Treviso (che spesso frequento come mediatrice culturale) secondo la Caritas locale ci sono circa 3-400 ragazze nigeriane “irregolari” certamente costrette a prostituirsi, di notte le vedi in abiti succinti in città e di giorno le puoi vedere lungo la Pontebbana (la Statale 13). E anche loro frequentano gli African Shop, comprano alimenti africani e preservativi, si fanno fare le treccine, anche loro offrono l’obolo al pastore pentecostale quando vanno a pregare, comprano vestiti e usano i Money Transfer per spedire qualche euro in Nigeria.

L'economia locale alimenta quella zona grigia

Tutta questa “economia indiretta” derivante dal “lavoro” di ragazze trafficate fa parte di quella “zona grigia” che pur non essendo direttamente coinvolta nel vero e proprio traffico di esseri umani o con lo sfruttamento della prostituzione, ne ricava comunque un vantaggio economico. Tutte attività regolari e alla luce del sole ma che pescano denari anche da quelle povere ragazze costrette a vendersi. Ecco allora il “si sa ma non si dice”, il “silenzio omertoso”, il farsi gli affari propri.

E adesso moltiplichiamo tutto questo “business del grigio” per tutte le città italiane dove la mafia nigeriana è certamente presente: Napoli, Palermo, Roma, Milano, Torino, Verona, e altre decine e decine di piccole e medie città in Italia. Milioni e milioni di euro che entrano a far parte dell’economia legale, ma generati da 27-30.000 ragazze nigeriane che attualmente in Italia sono costrette a prostituirsi.

L’anello di congiunzione di tutto questo sono le “mamam”, tenutarie di appartamenti e case (solo a Treviso potrebbero essercene almeno cento) che da un lato sono in contatto diretto con i veri e propri trafficanti e dall'altro svolgono una vita assolutamente normale nella città in cui vivono, hanno un marito, una famiglia, spesso dei figli. Restano però defilate, non danno nell'occhio. Ma i nigeriani che vivono accanto a loro, seppur non coinvolti, sanno che lì, dove vive quella signora benestante, c’è anche qualche ragazza “irregolare”, ma guai a dirlo.

Una miriade di donne nigeriane che sfruttano altre donne nigeriane più giovani di loro

Per mia esperienza personale le così dette "mamam" sono quasi tutte ex-prostitute che hanno subito loro stesse un periodo di sfruttamento sessuale. Tutte hanno ottenuto in qualche modo il permesso di soggiorno e magari si sono fatte anche una famiglia, un marito, figli, e hanno una casa disponibile, e la tentazione di entrare nel "business" (così viene chiamata la tratta tra i nigeriani) è molto grande.

E così decidono di investire. Basta qualche conoscenza negli ambienti giusti e 3-4mila euro, massimo 5mila, per far portare in Italia la prima ragazza da ospitare in casa. Poi ci sarà la seconda, la terza e così via. Il ritorno economico è enorme se si pensa ai 20-30-40 mila euro che poi dovrà restituire la ragazza sfruttata prostituendosi.

Udine, la città in cui vivo e lavoro

È per questo che a Udine (per debellare la piaga) abbiamo lavorato nel sottobosco, nella coscienza delle persone della comunità nigeriana. Abbiamo denunciato direttamente le “mamam”, a volte non serve provare lo sfruttamento, alle autorità di polizia basta sapere che in quel determinato appartamento ci sono alcune giovani ragazze nigeriane ospiti irregolari.

Come si sa per legge il possessore (affittuario o proprietario) è obbligato a segnalare al Comune la presenza di persone al di fuori del proprio stato di famiglia che vivono abitualmente nella propria casa o appartamento. Magari non succede nulla, ma intanto si crea un problema e altre donne che ospitano ragazze o che stanno pensando di ospitarle, magari rinunciano o desistono magari solo per non avere problemi.

Si sono messe le basi per creare un luogo “inospitale” alla mafia nigeriana

Tutto questo fatto in collaborazione con le forze dell’ordine che invece iniziano a portare spesso in questura per controlli le ragazze che si prostituiscono, alcune vengono messe in comunità, altre magari fanno dichiarazioni compromettenti per i loro sfruttatori, altre ancora vengono rilasciate perché hanno fatto richiesta d’asilo, ma poi, qualche giorno dopo viene riportata ancora in questura. Forze dell’ordine che anche compiono arresti e fermi, fanno indagini, ecc..

Senza il sottobosco delle connivenze, del lascia fare, del chiudere un occhio, del si sa ma non si dice, alla vera mafia vengono a mancare le basi per sopravvivere dentro a quella comunità.

Pensando alle ragazze sfruttate

Arrivate in Italia da poco, spostate in continuazione da un posto all'altro, in luoghi che non conoscono, una lingua che non capiscono, non sanno quali sono i loro diritti, mediamente poco istruite, spesso analfabete, una terribile paura di poliziotti e carabinieri, sospettose e circospette. Al di fuori della comunità nigeriana hanno contatti solo con i loro "clienti" italiani. L'unico mondo che conoscono è quello della loro "mamam", una nigeriana come loro, grazie a lei hanno una casa e un posto in cui stare, nei loro pensieri è l'unica donna che le sta aiutando anche se le costringe a prostituirsi e di lei hanno paura.

Lo sfruttamento di una ragazza può durare dai pochi mesi e arrivare fino ai 3-4 anni. Alcune si adeguano rassegnate, altre si danno da fare per pagare il "debito" il prima possibile, altre ancora cercano di scappare, pochissime denunciano.

Un lavoro certamente non facile, che richiede presenza anche personale, potenziale associativo (Friends of Africa e Foundation for Africa sono esempi di questo) e la collaborazione dei tantissimi nigerini onesti. Non si fa in pochi mesi, forse nemmeno in un anno, ma a Udine si è fatto, e adesso Udine si può considerare una città “liberata dalla mafia nigeriana”, non ci sono più ragazze nigeriane sfruttate, e allo stesso tempo c'è una comunità di nigeriani molto integrati e attivi nel sociale. E non solo Udine, ma anche Pordenone, Gorizia e Trieste, tutto il Friuli Venezia Giulia.

Certo, anche adesso bisogna tenere gli occhi bene aperti e stare attenti a “presenze” sospette, peraltro subito riconoscibili

Maris Davis, 29 settembre 2017

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