Un impero economico illegale che si aggira tra 1,3 e 1,7 miliardi di euro all'anno e che poi viene "re-investito" nel traffico di armi e di droga, soldi che servono per alimentare la corruzione e per portare sempre nuove ragazze in Italia.
Migliaia di ragazze sono costrette a prostituirsi da un’organizzazione spietata che si sta ramificando senza clamore ma con decisione. Chi l’ha studiata spiega perché
Non c'è dubbio che la Mafia Nigeriana in Italia è in forte ascesa
Ha un'organizzazione rigida e verticistica, con le teste pensanti ad Abuja o a Benin City che riescono a corrompere i gangli vitali della burocrazia e della politica nigeriana ad ogni livello, con "reclutatori" di ragazze nelle periferie povere delle città o nelle zone rurali del Sud della Nigeria, con "trafficanti" di uomini, di droga o di armi pronti a fare il "lavoro sporco" al di fuori della Nigeria, fino in Libia e poi in Italia.
In Italia la "mafia nigeriana" è organizzata in cellule, gruppi di pochissime persone che riescono a gestire fino a dieci e più ragazze ciascuno. In questi gruppi i maschi rimangono per lo più nell'ombra con compiti di controllo e gestiscono la parte organizzativa (luoghi in cui far prostituire le ragazze, ricerca di appartamenti, ecc..) molto spesso gestiscono anche altri traffici come droga e armi. Le donne invece, le mamam, sono quelle che sono a contatto diretto con le ragazze da sfruttare e "materialmente" sono quelle che le fanno prostituire e poi incassano il denaro.
In Italia la mafia nigeriana è infiltrata molto capillarmente in tutto il paese, tanto che è possibile affermare che pochissime città italiane si possono considerare "mafia nigeriana free". Pochissime sono le città italiane dove non ci sono ragazze nigeriane costrette a prostituirsi.
Dalla metà degli anni '90, quando anch'io ero merce nelle mani protettori nigeriani, e fino ad oggi la "mafia nigeriana" si è ramificata in Italia in modo esponenziale. Solo nel 2015 sono arrivate in Italia più di 5.000 ragazze nigeriane, e nel 2016 questo numero è stato ampiamente superato, più che raddoppiato.
Le ragazze arrivano dalla Nigeria senza nemmeno sapere dove sia l’Italia, spesso senza neppure saper leggere o scrivere. Quando dicono di aver diciott'anni quasi sempre significa che non superano i diciassette. Le portano qui promettendo un lavoro da parrucchiera, soldi, un futuro. Invece il loro destino, una volta sbarcate nel nostro Paese, è la prostituzione. Un inferno di violenze, minacce, e sfruttamento.
Solo nel 2015 sono state in cinquemila ad esser state trascinate qui, magari dai sobborghi di Benin City, oppure dalle campagne di Ihobge. Prima, erano al massimo due-trecento l’anno. Il fatto è che la criminalità nigeriana è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Una specie di boom e al tempo stesso una nebulosa, che le forze dell’ordine e gli operatori sociali non hanno ancora capito bene come fronteggiare.
Eppure si tratta di mafia vera e propria. Non solo bande sparpagliate sul territorio, ma una grande organizzazione internazionale, dai contorni paragonabili a quelli della ‘ndrangheta, o della camorra, o della mafia siciliana con le quali non sono in contrasto ma, al contrario, fanno affari.
Una mafia che minaccia, sfrutta, uccide. I capi stanno al sicuro ad Abuja o a Benin City, la manovalanza lavora in Italia. Le mamam che ricorrono al woodoo per terrorizzare le ragazze, gli adepti di sette pseudo-religiose mimetizzati nella comunità, pseudo-pastori di chiese protestanti che anziché indirizzare le ragazze a denunciare i loro aguzzini, le inducono invece ad "obbedire", e poi i "boys" (giovani maschi) che fanno da galoppini, a volte pronti a "stuprare" e violentare le ragazze "disobbedienti". E poi ragazzi appena arrivati in Italia mandati davanti ai supermercati ad elemosinare. Un vero e proprio impero criminale fondato sulla schiavitù.
Il sociologo Francesco Carchedi, docente alla Sapienza, ha condotto centinaia di interviste, ricerche sul campo, è stato numerose volte in Nigeria, ripercorrendo a ritroso le vie degli aguzzini e delle loro vittime. È considerato uno dei massimi esperti europei nel campo della tratta di esseri umani. Il quadro che delinea è sconcertante.
Si calcola che le donne nigeriane che esercitano la prostituzione in Italia siano oggi tra le 24 mila e le 28 mila. Da questo traffico nasce un giro d’affari enorme, che oscilla tra i 1,3 miliardi e i 1,7 miliardi di euro. Cifre che vengono a loro volta reinvestite nel commercio di stupefacenti ma anche nel traffico d’armi, con introiti stellari
Una realtà che non riguarda solo l'Italia. Un quarto delle droghe che arrivano negli Usa transita per la Nigeria. Al centro di tutto questo, la prostituzione. Spiega il professore "Il flusso delle ragazze è praticamente ininterrotto. Da qui passano in Francia, Spagna, ma anche Romania, Germania e Inghilterra"
Una struttura a stella cometa
Al suo centro c’è una figura femminile dall'aura quasi mistica: la mamam. Donna di fortissima autorità, reclutatrice, sfruttatrice, "sorella maggiore", cassiera, la mamam ha alle proprie dipendenze dei boys, guardie del corpo e assistenti tuttofare.
Nella fascia più bassa di questa piramide ci sono le giovani ragazze mandate a vendersi, anche nei pressi dei centri d’accoglienza per richiedenti asilo, da cui escono e rientrano dopo essersi prostituite, e poi uomini e donne utilizzati per lo spaccio e i maschi sfruttati per lavoro e accattonaggio. Il tutto controllato dai boss che stanno in Nigeria. A rendere il quadro ancora più inquietante sono i "cultisti", ossia adepti di alcune sette di ispirazione cristiano-evangeliche e animiste.
Mimetizzati fra i fedeli, non si espongono, non si fanno notare. Ma che le "vittime" conoscono bene. Terrorizzano chi non sta ai patti, proteggono gli affari, recuperano crediti. Non solo, nel loro modus operandi ci sono anche rapine, mutilazioni, omicidi rituali. In Nigeria e in Italia. Il quadro è quello di un’organizzazione ramificata su più livelli. Queste mafie sono parte integrante di segmenti del potere politico nigeriano basati sulla corruzione.
Le risorse accumulate in Italia vengono trasferite in Nigeria, dove la forza economica e politico-sociale dell’organizzazione si decuplica. Una realtà duttile, capace di insinuarsi anche tra le pieghe delle leggi italiane
Le bande nigeriane nel tempo hanno raffinato le loro strategie
Per esempio, le ragazze al loro arrivo sono indotte a dichiararsi rifugiate politiche o profughe, un modo "legale" che sfrutta il tempo che intercorre tra la richiesta di asilo e l'esito della domanda che, comprendendo anche l'eventuale ricorso, può arrivare fino 18-24 mesi.
Un modo per renderle meno "vulnerabili" rispetto alle autorità di polizia. "Nel chiedere asilo queste donne esercitano un sacrosanto diritto. Il problema è che la criminalità coglie tutte le opportunità, anche quello di piegare questo diritto ai propri interessi". E le prime vittime sono, ancora una volta, le ragazze.
Soprattutto le ragazze. Il racconto di M.M., 17 anni, uno dei tanti
"Vivevo a Benin City. Mi raccontarono che l’Italia era bella e che si guadagnava molto e si poteva avere successo nel mondo della televisione, anche come parrucchiera delle attrici. Poi mi parlarono di un giuramento davanti agli spiriti degli antenati. Era un rito woodoo. Non mi faceva paura, perché è la religione dei miei genitori. Giurai di pagare quanto mi veniva prestato: 40 mila euro. Non sapevo neanche cosa significasse quella cifra"
Un patto d’obbedienza che costa caro. Invece di un lavoro da parrucchiera, lei e le altre hanno trovato l’inferno, a Caserta come a Torino, Como, Roma, Mestre, Palermo, Napoli, e tantissime altre città italiane. Ragazze senza diritti e senza futuro.
Cosa è possibile fare subito
Necessario approvare al più presto la proposta di legge che regolamenta la prostituzione e che prevede la punizione per i "clienti", presentata dalla senatrice Caterina Bini nell'agosto del 2016 e ancora ferma in Parlamento.
Necessario togliere ai trafficanti la loro fonte di guadagno, ovvero le ragazze. Le ragazze nigeriane che sbarcano vanno tutte inserite in un circuito di protezione, non devono in alcun modo poter avere contatti con i loro "referenti" in Italia. Il loro periodo di isolamento deve essere adeguato per cercare di approfondire con loro chi, dove, quando, perché .. e, se è il caso, le ragazze vanno rimpatriate senza che abbiano modo di contattare i loro sfruttatori in Italia.
Un sistema che, se ben strutturato e abbinato ad una buona legge che preveda la "punizione" dei clienti, toglierebbe ossigeno alle mafie che sfruttano le ragazze a fini sessuali.
Maris Davis, 17 ottobre 2016